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Corrida para Comida: La Maratona di Rio de Janeiro

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Emisfero Australe, Tropico del Capricorno. 10000km circa.

Fuori suona una Bossa-Nova

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Sono le 4:03 quando suona la sveglia, la notte è stata calda ed il risveglio traumatico. Metto i piedi per terra ed ho la sensazione di toccare qualcosa di bagnato, no! non è una sensazione è acqua!
Ci metto poco ad insultarmi ricordandomi di non aver rimesso la spina al frigorifero della stanza!
Cercando di non fare rumore asciugo il pavimento e poi finalmente mi preparo per la gara.

Visto l’inizio promettente mi dico che non è il caso di rischiare di perdere il pullman che mi porterà alla partenza quindi faccio una colazione velocissima al banco del bar di questo albergo anni 60.
Siamo io, il custode e un vecchio che entra per sbaglio da una porta secondaria e manco un tavolino per appoggiarci.

Vestito e colazionato esco in direzione partenza, che uno la fa facile se non fosse a Rio de Janeiro, alle 4:30 con un clima che “par de vés a Milan” il giorno dei Morti. Il Pandino, che qua inspiegabilmente si chiama Uno, mi porta a destino.
Parcheggio e mi avvio alla ricerca del pullman.
Un uomo sbraitante all’alba mi indica la via, sono sul Pullman, sono vivo. Poi mi ricordo di aver letto su una guida che una delle cose assolutamente da fare a Rio de Janeiro è viaggiare con i mezzi perché gli autisti sono folli, in un attimo realizzo che è vero.
Il mio è la reincarnazione di Senna. Per 50 minuti è una gara tra Onibus (qua si chiamano cosi) siamo al limite delle sportellate.

Nel mio progetto iniziale questi 50 minuti mi servivano per: preparare il pettorale, preparare la musica, mangiare e bere qualcosina e magari provare a socializzare un po’.
L’unica barretta che riesco a mangiare mi finisce di traverso dopo un dosso preso a 100 all’ora, prego di arrivare alla partenza.
Figa fuori “ghe el nebbiun” e non si vede manco il panorama.

Arriviamo a Recredo e, complice il mare, il vento ed il sorgere del sole, finalmente mi ricordo di essere in Brasile.
Sono le 6:00 e mi domando: “che minchia faccio per un’ora e mezza?” Due passi, un grande classico.
Non lontano dal via vedo un muretto, lo raggiungo e da lì posso ammirare il mare e prepararmi con calma. Due pescatori cercano di mettere in mare una specie di barca, due ragazzi fanno il surf e per il resto è pace.

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Mi preparo: out-fit, musica e pettorale. Mi scrivo sul braccio con un pennarello i tempi per i passaggi. Peccato che, al primo ristoro, l’acqua e il sudore trasformeranno il tutto in un acquarello post futuristico. Magari la prossima volta una bella Bic Magister!

Rileggo qualche messaggio e inizia ad arrivare gente, il posto diventa più chiassoso, più vivo, più divertente.
Recupero Mariana e Kauana, le mie compagne di avventura (che perderò presto in gara) e sbrighiamo le classiche questioni pre-gara.
Sono le 7:00 loro sono ansiose vanno in griglia (che poi qua non è come da noi alle maratone, sembra più una corsa di paese con 20000 iscritti, poche regole, poche transenne, poca vippaggine e pochi rossetti, qua si corre e fine) io invece devo ancora sbrigare la faccenda per cui sono campione del mondo: la pipì alla maratona.
Sarà che nella settimana antecedente ho bevuto più acqua che in vita mia, sarà la tensione ma prima dello sparo arrivo a quota 4! PB!

Riscaldamento e, da buon italiano, scavalco e mi metto in griglia.
321 si parte.

Parti piano e vedi come va, cerca di stare sui 5’38” disse un giorno il saggio Gregorio. Sarà il marciapiede libero, sarà il tipo vestito da uomo ragno, sarà quel che saràààà cantava Josè Feliciano… passo il 5km in 27′ scarsi, compresa una sosta (5ª pipi’).

Rallenta Magister, rallenta che muori; Ad un tratto sulla mia sinistra una lunga palizzata in legno, ad ogni palo uccello nero, sarà che vado troppo forte, sarà l’astinenza di alcool, mi sembrano avvoltoi pronti a raccogliere il mio cadavere.

Penso al Max Nazionale che cantava gli avvoltoi tutti su di noi e mi rimetto a correre, si va.

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La strada è un lunghissimo lungomare fino a Barra de Tijuca dove è prevista la mezza. Alla mia destra l’oceano, la spiaggia e qualche localino. In uno ancora si danza.
Noi corriamo e loro ci prendono per matti, un tipo offre un drink e la tentazione è forte. Mi rifugio nell’acqua al ristoro ed alla mia solita sosta amica (6ª pipi’).

Guardo il crono e sono ancora veloce, passo i 10 in 54′ e gli avvoltoi mi volano felici sopra. Rivedo l’uomo ragno che con la sua GoPro filma tutto (all’arrivo scoprirò essere un famoso blogger) e vedo una coppia di corridori uomo/donna che attirano la mia attenzione.

Sarà la canotta color Ansa, sarà che lui ha stampato il nome Serginho e in me rievoca i fasti rossoneri, sarà che nell’osservarli penso che lui stia guidando lei alla prima maratona decido di seguirli a francobollo.

La cosa è anche un po’ inquietante se ci ripenso ora, perché per dieci chilometri non li mollo un secondo e lui ogni volta che si gira vede sempre la mia bella faccia sorridente. La scelta è giusta loro corrono ad un ritmo costante e io mi adeguo. Cosi mi godo il panorama, mi fermo (7ª pipi’) e, soprattutto, rallento.

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Alla mia destra il mare è affascinante ed il clima invernale amplifica quel senso di piacevole malinconia. Ogni tanto qualche surfista prova a domare l’oceano e qualche temerario sfida la spiaggia di corsa ma, per il resto, è solo la voce del mare.

Tirato dai miei nuovi amici (loro non lo sanno) arrivo a Barra de Tijuca il quartiere Vip di Rio de Janeiro, mi spiegherà poi Giulia, dove vivono tutte le celebrità e non è difficile capire il perché.
Palazzi ultra moderni si affacciano sul mare, spiaggia immensa e vista mozzafiato ma siamo solo alla mezza e di fiato ne ho ancora bisogno.

Finalmente vedo Giulia di rosso vestita. Dopo 2 ore vedere un viso conosciuto è un’iniezione di adrenalina.
Rallento, la bacio e ci scambiamo quattro parole veloci. Ma sono emotivamente carico e riparto subito.

Guardo l’acquarello sul mio braccio e guardo il crono. Passo in 1:55 tre minuti in anticipo.

Cerco i miei amici, li raggiungo, ma c’è una novità o meglio un terzo incomodo. Il saggio Serginho lascia la ragazza all’altro uomo, che potrebbe essere il fidanzato, e allunga. Reggo il moccolo o vado?
Seguo Serginho che galoppa sulla fascia sinistra come ai tempi d’oro. E’ più vecchio e veloce di me, mi sento una pippa e lo lascio andare (ma il destino è baro e non lo sai… cantava Renatone), mi fermo giusto un attimo (8ª pipi’) per sancire il NEW WR.

La strada sale leggermente e, invece che accusarlo, mi scopro arzillo. Corro bene e il mio passo medio scende. Correrò in 52′ i dieci chilometri successivi.

Finalmente un corridore mi grida: “Italiano”. Lo aspettavo dalla partenza, ho messo pure la bandiera sulla maglia!
È il mio istante d’orgoglio.

In lontananza una galleria. Dentro la galleria delle luci che ci puntano. Più mi avvicino più mi pare di avere le visioni. Invece dentro alla galleria ci accoglie una discoteca. Per un attimo penso di essere al Sonar. Musica assordante, Ostrobo che ti trasforma in robocop, lampada di wood anni ottanta che fa risaltare il bianco in modo luminescente e un solo pensiero: quando finisce sta tamarrata? Esco dal tunnel correndo in stile Tony Manero.

La gara prosegue e la strada in leggera salita punta verso Vidigal. In questo punto tutto è molto selvaggio e assurdamente bello, ho i pensieri in loop, ringrazio Dio di essere li.

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Vidigal? Vidigal è una favela e la corsa ci passa affianco.

Era la prima volta che vedevo da dentro una favela.
Le case ammassate l’una all’altra danno un senso di oppressione. Alle non finestre, sui balconi, anziani e ragazzi salutavano il passaggio degli atleti bevendo birra.
La sensazione di posto pericoloso è netta, ma questo micromondo è anche affascinante mi dico.

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Si va. Da qui in poi conosco il percorso avendoci già corso e questo non è necessariamente un bene quando inizi ad essere stanco.

Nel mio futuro le spiagge più famose del mondo: Leblon, Ipanema, Arpador, Copacabana, Leme.

Discesa, sinistra, destra, sinistra. Boato.

Ora spiegarvelo non è facile.

Davanti a me, o meglio alla mia destra, la spiaggia di Ipanema.
Ali di folla chiassosa e festante incitano i corridori dalla orla (nome con cui qua definiscono il marciapiede dal caratteristico aspetto che separa la strada dalla spiaggia).
Ragazzi con lo Skate ti passano affianco. Qualcuno corre la sua uscita domenicale nel senso opposto di marcia e ti saluta. Si gioca a tutti gli sport che possono iniziare con Beach.

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Corri. Guardi la spiaggia. Senti la gente. Guardi il mare. Ti viene il torcicollo. Finisce che fai cinque chilometri a 5′ e qualcosina.

Saluto Ipanema e nel chilometro cittadino che la unisce a Copacabana mi prendo un gelletto, rivedo l’uomo ragno che morto si è tolto la maschera e, soprattutto, guardando l’orologio capisco che salvo problemi fisici centrerò il mio obiettivo: a baixo das 4:00 horas.

La sensazione è strana, mi viene da piangere e mi si rompe il fiato, sarà la tensione, lo sforzo, la soddisfazione. La parte emotiva ha il sopravvento e per un po’ perdo il controllo della questione.

Una curva a sinistra mi riporta a Rio de Janeiro. Maestosa davanti ai miei occhi appare Copacabana. Siccome le parole le ho finite per Ipanema, provo a farvelo capire con una foto.

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Rallento. Il 35 e 36 sono i chilomentri più lenti dal mio passaggio alla mezza. Ma quello che ho intorno è una calamita. Sono stanco e le gambe iniziano a pesarmi. So bene quanto manca e so la strada da fare. Non vorrai mica fermarti qua Magister? Per un attimo ci penso davvero, sono a Copacabana e si sente battere il cuore della città intera. Le persone sulla strada che applaudono, urlano e ti danno da bere però ti spingono ad andare. E io vado.

Un anziana signora mi offre un bicchiere di Coca Cola e mi ricordo che Michele mi dice sempre di berla: “è un toccasana” dice il saggio. Avete mai provato a bere da un bicchiere in corsa? Morale mezza Coca mi finisce in faccia e sulla maglia il resto lo bevo e quasi soffoco. Però funziona. Rutto libero alla Fantozzi e zuccheri subito al cervello.

Ho solo un problema, appiccico tutto. Il ristoro del trentottesimo lo uso come un bagno per pulirmi. Saluto Suellen che è sul percorso a fare foto e via verso la meta.

Mi lascio Copacabana alle spalle e so che ora, dopo un tunnel, ci sarà prima la baia di Botafogo e poi l’arrivo nel parco di Flamengo. Totale 4km. Dentro mi dico che è finita. È finita la gara ma non le sorprese di questo popolo festante nell’anima.

Poco prima del tunnel un gruppo ben nutrito di tifosi crea un percorso obbligatorio. E’ cosi stretto che ci passi in mezzo solo e sono 20 metri di “cinque” con tutti.
Da noi queste cose non succedono. Ovviamente mi ci butto in mezzo sorridente e ne esco pieno di adrenalina.
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Non so dove trovo le energie ma corro gli ultimi quattro chilometri sotto i 5′, davanti a me chi vedo? Il mio amico Serginho!!!!.

E’ morto che quasi cammina. Mi avvicino e gli dico: “em bora! està chegando!”

Anche lui si ricorda di me, forse mi crede uno stolker, mi sorride e riparte lento.

Il traguardo è li. Sono emozionato. Inizio a pensare a dove trovare Giulia. Curva a sinistra. Rettilineo finale. Ciao.

Gente a destra e a sinistra che urla, che applaude. Rallento. Rallento. E inizio ad applaudire.
Più applaudo, più la gente applaude. Non credo ai miei occhi.
Zigzago a destra e a sinistra per passare vicino alle persone. Una valanga di emozioni. Poi sento la voce di Giulia, la vedo, le mando un bacio. Mi scende una lacrima.

Traguardo. Arrivo. Fine.

Vedo anche arrivare un padre che ha spinto per 42km la carrozzina del figlio e lo fa camminare per gli ultimi metri.
Io vedo solo l’abbraccio dopo l’arrivo. Giulia ha la fortuna di vedere tutta la scena.

Sorrido e mi ricordo che in fondo è solo una maratona ed io ho avuto il grande previlegio di correrla. #run4food

Foto 8

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